Storia

I 7 strumenti di tortura più terrificanti della storia

Innocente fino a prova contraria

Eleanor Roosvelt presentò pubblicamente il documento nel 1948, a Parigi.

La presunzione d’innocenza è il principio giuridico secondo il quale un imputato (cioè un soggetto accusato di reato) è considerato innocente fino al momento in cui la pubblica accusa non dimostra concretamente, per mezzo di prove oggettive, il presunto grado di colpevolezza.  Tale principio deriva dall’articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, importante documento firmato da 48 dei 58 paesi al tempo membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 

La presunzione d’innocenza è a oggi principio adottato dalla maggior parte dei paesi europei. Ma in tempi più bui e non troppo lontani chi era accusato di eresia o di crimini più o meno gravi veniva messo subito sotto torchio..nel vero senso del termine! Dal Medioevo e fino almeno alla Rivoluzione francese, in Europa si pensava infatti che a dover  essere dimostrata fosse l’innocenza. La tortura era considerata tra i metodi più efficaci, valevoli e proficui per ottenere dall’imputato l’ammissione di colpa che, paradossalmente, comportava l’assegnazione della reale pena da scontare, commisurata al reato commesso. I tribunali civili di numerose città adoperavano disparate tecniche di tortura a seconda del caso giuridico, sempre crudeli e al limite del disumano.

La leggenda nera

Dal 1231, a partire dal tardo Medioevo, anche la Chiesa cattolica ricorse a sistemi di tortura con lo scopo di combattere e debellare gli eretici, sostenitori di teorie che andavano contro l’ortodossia cattolica.

Papa Gregorio IX contribuì a formalizzare il ricorso alla tortura durante gli interrogatori, vere e proprie prove di resistenza a danno degli indiziati. L’Inquisizione, organo burocratico religioso, controllava i tribunali ecclesiastici responsabili dei processi. A differenza delle autorità non religiose gli inquisitoriover quaranta esperti in diritto canonico e civile, seguivano precise direttive: la tortura a cui il soggetto era sottoposto poteva durare massimo mezz’ora, doveva svolgersi in presenza di medici esperti ed esentava chierici, militari, malati, vecchi, bambini e donne incinte. Se il presunto reo confessava, veniva rimesso in forze; a quel punto, lo si invitava a confessare una seconda volta in pubblico per escludere che la prima ammissione di colpa fosse stata dovuta alla mera tortura fisica e psicologica subita. La punizioni inflitte per espirare la colpa erano diverse: autoflagellazione, sequestro dei beni, pellegrinaggio, arresti domiciliari. La morte era destinata a chi non abiurava e ai relapsi, coloro che ricadevano nel peccato dopo aver abiurato una prima volta. 

Tribunali civili ed ecclesiastici erano provvisti di apparati burocratici di tutto rispetto che hanno perciò lasciato documenti e testimonianze degli abomini compiuti. In epoca moderna si è molto discusso circa i numeri dei vessati sottoposti ad atrocità e riguardo alla responsabilità di cui gli organi religiosi dovevano o meno farsi carico.  La Chiesa mise mano agli archivi per dimostrare quanto i numeri fossero stati gonfiati in virtù dei luoghi comuni perpetrati fino all’Ottocento e alimentati dagli ambienti protestanti, illuministi e anticattolici che avevano come obiettivo quello di screditare l’immagine della santa istituzione e dell’impero spagnolo che per un certo periodo ottenne per mezzo di papa Sisto VI la possibilità di controllare numerosi tribunali inquisitori.

Tale teoria prende il nome di leggenda nera dell’Inquisizione e fu avanzata per la prima volta dagli storici E. Peters e H. Kamen. 

Quel che è certo è che la tortura era all’ordine del giorno sia in contesto ecclesiastico (guerra aperta all’eresia) sia in ambito civile (adulterio, omosessualità, furto, omicidio e via dicendo). In tutta Europa sono stati ritrovati strumenti terrificanti appositamente progettati: in questo articolo vi riporto le 7 tecniche di tortura più ingegnose e crudeli della storia. Se non siete tipi impressionabili…buona lettura 😉

1. La culla di Giuda

Non ci sono a oggi prove che questo strumento fosse impiegato dall’Inquisizione né si conservano esemplari originali d’epoca. Le ricostruzioni della culla di Giuda si basano esclusivamente su documenti scritti. Il condannato veniva fatto “accomodare” su di una piramide issata su un cavalletto: manovrato come un burattino tramite un sistema di corde, il corpo dell’indiziato veniva mosso in modo tale che la punta della piramide penetrasse nei genitali o nell’ano. All’occorrenza, venivano fissati dei pesi agli arti del condannato. 

2. La pera

Strumento simile ma meno ingombrante era la pera, chiamato così per la somiglianza che esso aveva – da chiuso – con il frutto. Solitamente realizzata in bronzo, la pera è costituita da più segmenti allargabili per mezzo di una vite collegata a una chiave girevole: introdotta in bocca, nei genitali o nell’ano, dilaniava la parte interessata. Questa tortura non portava alla morte ma infliggeva alle vittime atroci dolori, comportando inoltre un grave rischio d’infezione. La pera veniva adoperata per epurare dal peccato il corpo: per questo, era usata per torturare donne che avevano praticato l’aborto, presunte streghe che avevano giaciuto con il demonio, bestemmiatori, bugiardi e omosessuali. 

3. La gabbia sospesa

Si tratta di una vera e propria gabbia “a misura d’uomo”, poco spaziosa, realizzata in ferro o legno. Il condannato, nudo, vi veniva rinchiuso e poi sospeso a circa 2,5 metri d’altezza a ridosso di una torre o di un alto palazzo ma sempre in pubblica piazza, cosicché potesse essere deriso e umiliato dai passanti che, a piacimento, potevano tentare il linciaggio. Il condannato veniva mantenuto in vita con acqua e cibo ma era esposto al sole caldo o alle intemperie e, soprattutto, a volatili di passaggio attratti dalla carne. La gabbia sospesa poteva trasformasi in strumento di morte: il malcapitato veniva allora lasciato morire di fame e di sete, sempre in pubblica piazza. 

4. La ruota

Questo strumento era impiegato in diversi modi. Il condannato poteva essere issato sulla ruota che poi veniva fatta girare per indurre nausea e vomito. Sulla ruota potevano essere fissate delle punte di ferro che, in rotazione, laceravano gli arti del suppliziato, il quale moriva spesso per dissanguamento. Nel peggiore dei casi, al condannato venivano prima spezzate braccia e gambe: legato alla ruota, subiva in tal modo dolori inimmaginabili. La ruota era pressapoco una variante della crocifissione.

Simile, la tavola: l’indiziato era legato mani e piedi a quattro funi fissate a un rullo con il quale il boia “allungava” gradualmente il corpo del malcapitato fino a causare la slogatura delle articolazioni. 

5. L’ anello spacca testa

Con questo arnese molto comune in tutta Europa veniva cinto il cranio della vittima. Le viti poste all’estremità dell’aggeggio venivano strette a piacimento in modo tale che gli aculei posti all’interno dell’anello penetrassero pian piano l’osso cranico. La lenta compressione rompeva prima i denti e la mascella del pregiudicato e, se lo strumento veniva usato per uccidere, qualche giro di vite in più bastava a causare la rottura dell’osso cranico e il distacco della calotta. Il dispositivo era corredato da contenitori atti a raccogliere i bulbi oculari e la materia celebrale che colava dalle narici. 

6. La tortura del topo

Qualcuno di voi sicuramente la conoscerà. L’animale veniva inserito in uno degli orifizi della vittima, poi cuciti, o poggiato sull’addome del sospettato e bloccato da una pentola incandescente. L’animale, privo di vie di fuga, scavava puntando agli organi interni del presunto colpevole.

7. Il falso mito della vergine di Norimberga

La vergine di Norimberga, o vergine di ferro, è un sarcofago antropomorfo in legno rivestito internamente da aculei di ferro o lame disposte in blocchi amovibili. La vittima veniva chiusa al suo interno e lasciata in agonia prolungata poiché, si pensa, gli organi vitali venivano lasciati illesi.

Il dispositivo di tortura prende il nome dall’esemplare ottocentesco ritrovato proprio a Norimberga. Non sono stati rinvenuti, a oggi, vergini di ferro anteriori al XIX, esemplari originali o testimonianze storiche del suo impiego in epoche passate. Gli studiosi ritengono dunque che si tratti di un falso storico creato per impressionare i visitatori dei musei sulla scia di un’epoca oscura quale fu, senz’altro, il Medioevo. 



Un po’ macabro? Hai ragione ma… de gustibus non disputandum est 😉

Però se ti senti in mood, corri a leggere il nostro articolo “Guida al sacrificio animale” 

Alla prossima con qualcosa di più allegro, promesso 😉

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Chiara Maraviglia

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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