Storia

Genitori di sangue, genitori di latte. “Mandare a balia” nel Rinascimento a Firenze

Per molto tempo l’allevamento dei neonati ha rappresentato un po’ ovunque, nel mondo, un grosso problema per coppie di ogni ceto sociale. Fino al XIX secolo un bambino su tre moriva perché non poteva essere allattato dalla madre naturale o a causa di malattie contratte da alimenti sostitutivi come il latte animale, ricco di batteri nocivi per un neonato.

Nel 1865 Justus von Liebig, chimico tedesco,  riuscì a sintetizzare una polvere solubile ricca di nutrienti: si trattava del primo sostituto commerciabile del latte materno, felice invenzione che contribuì a diminuire il tasso di mortalità infantile. Prima di allora, in molti casi e per ragioni diverse, mandare i figli a balia era una scelta quasi obbligata. 

Il mercato del latte

Dettaglio dello “Spedale degli Innocenti” realizzato da Filippo Brunelleschi a Firenze, in piazza Santissima Annunziata.

Nella Toscana rinascimentale questa pratica era consuetudine. Tra le famiglie più povere la mancanza o la scarsità di latte della madre bastava a determinare l’abbandono dei neonati a istituzioni assistenziali presso cui lavoravano balie stipendiate. I bambini venivano lasciati sulle scale degli istituti, spesso con un biglietto spillato sulle misere vesti; non era raro che i genitori tornassero poi a reclamare i figli sopravvissuti quando ormai erano stati svezzati.

I più benestanti e il medio ceto sociale (famiglie d’artigiani, mercanti, notai, medici) potevano invece permettersi di mandare a balia i propri figli in luoghi non istituzionali, contribuendo così ad alimentare un vero e proprio mercato del latte che vedeva le balie prestarsi ora all’offerta dei privati, ora all’offerta degli ospedali.

Durante il Rinascimento, molti fiorentini presero inoltre a lasciare memoria di sé e del proprio lignaggio sotto forma di “ricordanze”, libri di famiglia in cui si annotavano conti, ragionamenti morali e frammenti del vissuto quotidiano. Dallo studio complessivo di queste importantissime fonti storiche è possibile ricostruire un fenomeno talmente diffuso da diventare consuetudine secolare in Toscana fino almeno alla prima metà del ‘900.

Perché mandare a balia

La “Madonna del latte” di Andrea Pisano

I mezzadri e i contadini che abitavano le pianure e le montagne toscane erano costretti dalla povertà economica ad abbandonare i figli. Per evitare questo triste epilogo, spesso le giovani donne che avevano appena partorito lasciavano il bambino nelle mani di altri conoscenti accettando tutti i rischi del caso e, soprattutto, l’idea che l’infante sarebbe potuto morire senza il giusto e naturale apporto nutriente. Queste donne offrivano infatti il proprio latte ai signori delle città per cercare così di sollevare la famiglia dalla miseria, rinunciando al proprio ruolo di madri. Ciò è indice di quanto il mestiere della balia fosse diffuso al tempo tra le donne fertili e di umile origine.

Dai documenti emerge anche quanto fosse raro trovare una mamma di città che allattasse.  In media, le donne di buona famiglia convolavano a nozze prima dei 18 anni d’età: per mantenere alta la fecondità e assicurare al marito una stirpe numerosa in tempi brevi, acconsentivano a separarsi dai propri bambini. Così facendo, le madri di città potevano portare a termine gravidanze ravvicinate, rimanendo tuttavia “libere” per metà della loro vita feconda. Inoltre, si pensava che il latte animale “imbestialisse” il bambino.

La Chiesa condannò a più riprese il fenomeno nella convinzione che il latte materno fosse un “continuo” del sangue che forniva in grembo il nutrimento al bambino; per volontà di Dio, il neonato doveva stare insieme alla madre. Solo in questo modo essa avrebbe potuto trasmettere le proprie buone qualità al figlio. Per questa ragione i più ricchi cercavano balie che assomigliassero quanto più possibile alla madre naturale. Ma i criteri fondamentali per la scelta della balia erano altri e ben più pragmatici.

La scelta della balia: una faccenda da uomini

La “Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca

Il latte doveva essere fresco e abbondante. La balia ideale era dunque colei che aveva partorito di recente.  Il padre naturale iniziava a mobilitarsi per tempo spargendo la voce della ricerca tra amici e conoscenti; spesso, inviava un emissario a setacciare le campagne o incaricava qualcuno che monitorasse le donne gravide o che allattavano sui suoi stessi possedimenti.

Esistevano poi i procacciatori di balie, figure specializzate a tenere d’occhio la vita e la morte dei neonati di povera famiglia. Questi immorali talent scout  bussavano alle porte delle donne che avevano appena perso un figlio ed erano in grado di allattare; a loro si rivolgevano anche i padri di giovani neo-mamme che avevano portato a termine gravidanze illecite. Per ordine del pater familias, erano costrette ad abbandonare i figli illegittimi e a “riscattarsi” rendendosi utili, diventando balie.

Molto spesso i padri di buona famiglia si servivano di domestiche e serve che avevano in casa: potevano decidere di allontanare i loro figli e trasformale in balie o di vendere il loro latte a chi ne aveva bisogno. Spesso i padroni o i figli più grandi che tardavano a sposarsi avevano rapporti con le serve, poi costrette ad abbandonare l’infante frutto dell’amplesso clandestino. Molte ricordanze fiorentine documentano storie d’abbandono e allattamento mercenario.

Balia a domicilio

Tenere una balia in casa era un lusso per pochi. La balia a domicilio alloggiava accanto alla cucina, nella parte alta della dimora, e percepiva uno stipendio molto più cospicuo rispetto a quello di tutti gli altri lavoratori domestici. La balia era tenuta d’occhio per evitare che avesse rapporti sessuali e, dunque, una nuova gravidanza che avrebbe compromesso l’allattamento. Perciò, statisticamente, l’allattamento dei neonati in casa durava per periodi di tempo in media più lunghi rispetto a quello dei bambini mandati a balia lontano dalla patria dimora.

La balia a domicilio veniva ingaggiata in maggior misura per allevare i primogeniti maschi, futuri eredi delle famiglie. Le femmine e i figli maschi minori erano invece spediti lontano da casa e dai genitori naturali senza troppe remore.

La separazione fino allo svezzamento

Per ammortizzare i costi, si chiedeva alla balia di ospitare i neonati a casa propria fino a che non fossero stati svezzati. Le stime illustrano come tra il 1360 e la fine del ‘500 nell’87% dei casi i bambini siano stati allevati lontano da casa e dai genitori naturali.

Le balie professioniste erano molto presenti nella zona del Mugello (a nord di Firenze), nelle campagne attorno a Prato e nel Casentino. Quando la distanza era tanta, il padre seguiva l’allevamento del proprio figlio tramite emissari che periodicamente facevano visita alla balia per controllare che il contratto stipulato fosse rispettato.

Il contratto

Patti chiari, amicizia lunga. Per contratto la balia si impegnava a non avere una nuova gravidanza e a segnalarla prontamente qualora accorsa. Doveva inoltre dichiarare alterazioni della qualità del latte: se il bambino risultava malnutrito ai controlli, alla balia veniva detratta parte dello stipendio. Era inoltre il padre a stabilire il termine ultimo del contratto, senza che balia o madre naturale avessero voce in capitolo.

L’invenzione della culla

Talvolta capitava che il bambino mandato a balia morisse. Nella maggior parte dei casi, l’infante contraeva malattie inguaribili per i mezzi del tempo. Spesso e volentieri, però, il neonato veniva letteralmente affogato nel sonno, vittima di incidenti domestici frequentissimi! Il bambino dormiva infatti nello stesso letto della balia e del suo compagno: di notte, senza la giusta accortezza, poteva capitare che venisse letteralmente schiacciato. Incidenti di questo tipo erano così frequenti durante il ‘500 che la Chiesa condusse campagne di prevenzione in merito. Nacquero così i primi “strumenti” che entrarono di norma a far parte del corredo dei lattanti mandati a balia: culle munite di archetti che proteggevano il bambino dalle cadute e fissavano le coperte per evitare che questo soffocasse nei momenti in cui era poco sorvegliato, e vere e proprie “cassette” da letto che salvaguardavano il piccolo dai movimenti bruschi del “balio” durante la notte.


“La maternità non è la paternità. Nella maternità la donna abbandona il proprio corpo al bambino. E i bambini le stanno sopra come su una collina, come in un giardino, la mangiano, la picchiano, ci dormono sopra e lei si lascia divorare e qualche volta dorme mentre loro le stanno addosso. Niente di simile avverrà mai nella paternità.” 

Marguerite Duras

Se sei arrivato sin qui, grazie!

Continua a seguirci su Facebook e Instagram e dai un’occhiata al nostro menu 🙂

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Chiara Maraviglia

74 commenti

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: