
La melanconia e l’afflizione dell’uomo occidentale
Era l’antico termine con il quale si indicava un profondo malessere interiore dell’individuo, uno stato di afflizione e contemplazione, ma anche un atteggiamento, per così dire, stravagante, al di fuori degli usi e delle consuetudini. Parliamo della melanconia, considerata erroneamente sinonimo della ben più conosciuta depressione.
L’uomo europeo nasce come homo melanconicus, gran parte della nostra letteratura è stata scritta proprio da uomini colpiti da questa condizione sofferente. La discussione intorno a questo tema ha impegnato grandi menti del mondo greco, a partire da Ippocrate fino alle speculazioni che fecero a questo proposito Aristotele nel suo “Problema XXX” e più tardi Marsilio Ficino.
Che cos’è allora, se di depressione non si tratta, la melanconia e come ha trovato applicazione nella nostra letteratura?
L’origine del termine “melanconia”

La parola melanconia deriva dal greco melancholìa, termine composto da melas, melanos (nero) e cholé (bile). Significa dunque bile nera, uno dei quattro umori fondamentali presenti nell’uomo in base alla teoria ippocratica. Secondo la medicina greca infatti la prevalenza di uno di questi umori determinava il temperamento della persona, quindi il suo carattere e le sue inclinazioni.
I quattro umori fondamentali
Ippocrate spiegava come ogni uomo fosse composto da quattro umori, o liquidi, principali:
- la bile gialla: umore caldo e secco. La superiorità di esso sugli altri tre avrebbe determinato un individuo magro, gracile e caratterialmente collerico;
- il flemma: liquido freddo e umido, corrispondente al muco. La persona con un livello di flemma dominante rispetto agli altri tre umori sarebbe caratterizzato perciò dall’indole flemmatica, cioè dalla lentezza, dalla goffaggine e dalla pacatezza;
- il sangue: caldo e umido, un umore la cui preponderanza avrebbe portato a un temperamento sanguigno, impulsivo e frivolo;
- la bile nera: fredda e secca. Chi ha un eccesso di bile nera è definito melanconico e porta dentro di sé caratteristiche come introversione, riflessività ed estraniamento.
È interessante notare inoltre come la tradizione riteneva che i nati sotto Saturno fossero di natura melanconici. Il dio Saturno, da cui poi prese nome il pianeta, era considerato il dio degli opposti: coloro che erano sotto il suo potere potevano essere sia afflitti dalla tristezza e dalla voglia di isolarsi dagli altri, sia essere beati, geniali e illuminati.

Nati sotto Saturno
Come vi dicevo in apertura dell’articolo, pensando oggi alla melanconia (malinconia) si fa riferimento a uno stato di tristezza, di profonda riflessione e di impotenza, un qualcosa di simile quindi alla depressione.
Per i Greci però non era affatto così. Aristotele nel suo Problema XXX inserisce tra i melanconici Aiace Telamonio, che folle di rabbia si suicidò, ed Eracle, la cui pazzia lo portò ad uccidere i suoi stessi figli.
Sembra quasi che questa follia per Aristotele sia la caratteristica necessaria per segnare imprese degne di rimanere nella storia, una connotazione quindi di melanconia ben lontana da quella presente nell’immaginario comune.
Chi è il melanconico?
Il melanconico allora può essere triste, solitario, contemplativo, ma anche euforico, folle e visionario. Il comune denominatore di tutte queste caratteristiche è la dimensione fuori dalla “normalità”, sia nei pensieri che nelle azioni, la voglia di evadere dalla realtà sentita troppo stretta per il proprio animo. Una dualità quindi che poi nel Rinascimento sarà riconducibile all’influenza di Saturno.
Secondo lo studioso Pigeaud “il melanconico ha in sé, potenzialmente, tutti i caratteri dell’uomo”, cioè può esprimersi “attraverso comportamenti multiformi”, riprendendo allora quello di cui già Aristotele parlava. Ecco allora che, facendo ulteriormente un passo avanti, secondo questa visione, l’artista e il melanconico coincidono. Ed ecco perché, come dicevamo, l’uomo europeo è l’homo melanconicus nella letteratura. Vediamo qualche esempio.
La melanconia nella letteratura

Un autore come Francesco Petrarca esemplifica l’aspetto più intrinsecamente sofferente dell’uomo affetto da melanconia. I suoi componimenti raccontano di un individuo che necessita di estraniarsi fisicamente dalle persone.
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.[…]
Solo et pensoso, “Canzoniere” 35.
È vero, lo confesso […] in questa tristezza tutto è aspro e misero e orribile e la via alla disperazione è sempre aperta. […]
È questa l’origine di quel grave dolore: come se uno fosse circondato da innumerevoli nemici e non avesse alcuna via di fuga, né speranza di clemenza, né alcun soccorso, ma tutto gli fosse contro […].
Dal “Secretum II”.

Andando fino al Seicento, incontriamo un altro scrittore come Torquato Tasso, attraverso il quale la melanconia si declina in disforia. Scriveva ai suoi amici
Il maggiore di tutti i mali è la frenesia, per la quale sono melanconichissimo.
Dalle “Lettere 647”.
Il Tasso “melanconichissimo” era affetto da allucinazioni, credeva che un demone quotidianamente andasse a fargli visita per turbare il suo animo già di per sé fragile.

Ancora. Giacomo Leopardi ci ha lasciato moltissimi componimenti, appunti, riflessioni, saggi e racconti in cui, con atteggiamento nichilista, riflette sull’inesorabile sfacelo a cui ogni individuo è costretto ad assistere a causa di una natura matrigna che non si cura dell’uomo.

Successivamente Eugenio Montale diceva:
Forse solo chi vuole s’infinita/e questo tu potrai, chissà, non io […]
Da “Casa sul mare” in “Ossi di seppia”, 1925.
esprimendo quindi la sua impossibilità di raggiungere la salvezza, ma non negandone la sua esistenza per qualcun altro.
Un atteggiamento questo, quindi, squisitamente occidentale presente nella nostra letteratura, la quale ha traghettato la melanconia fino ai nostri giorni, facendole perdere però tutte quelle connotazioni che la caratterizzavano fin dalle origini.
Avete però notato che ancora oggi quando diciamo: “Sono di un umore nero!” si fa riferimento all’antica teoria degli umori? 😉
Se vi interessa il tema della melanconia, vi consiglio il testo La melanconia a cura di Roberto Gigliucci, edito dalla Bur: si tratta di un’antologia di testi appartenenti ad autori ritenuti melanconici, dai più antichi fino a quelli moderni.
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©RIPRODUZIONE RISERVATA


15 commenti
inchiostronoir
Bel articolo, complimenti! E che dire di Baudelaire, Poe e Tim Burton? Entrano anche loro in questa definizione, sarà un tratto distintivo dei genii?
Jessica D'Amato
Grazie mille 🙂 Condivido il tuo pensiero: tutti i geni sono infondo dei melanconici 😉 Sicuramente un autore come Baudelaire rietra a pieno titolo in questa macro categoria, e secondo me tutta la scia dei poeti maledetti. Poe e Burton poi hanno intrapreso la strada della scoperta dei meandri dell’animo umano sfociando nell’horror, ma sempre visionari erano!
ornella
Articolo molto interessante, ricco di riflessioni utili e che lascia intravedere un aspetto”positivo” della melanconia. Grazie per la citazione bibliografica. Complimenti, bello davvero!
Jessica D'Amato
Grazie davvero! 🙂
Il Palombaro — Immersività blog
Ciao Jessica, ottimo articolo. Mi rivedo tantissimo nell’homo melanconicus, e non per una presunta “genialità”. Mi capita spesso di mostrare caratteri multiformi, tanto da spiazzare, a volte, chi mi sta accanto. Sono tendenzialmente introverso e solitario, eppure ci sono momenti in cui mi trasformo in una persona estremamente socievole e spontanea; allo stesso modo, posso affrontare situazioni difficili con grande pacatezza e situazioni meno complicate con rabbia e ferocia. Non sono mai riuscito a cogliere questa “eterogeneità” della mia personalità, soprattutto a fronte della mia riservatezza.
Forse, grazie al tuo post, potrei aver trovato un modo per capirmi meglio!
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luisa zambrotta
Che bell’articolo!
Jessica D'Amato
Grazie mille! 🙂
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