Storia

Cultura del tatuaggio tra storia e curiosità

Alzi la mano chi ha un tatuaggio impresso sulla propria pelle o chi, trovata la giusta dose di coraggio, ha intenzione prima o poi di farsene uno!

Socialmente sdoganato rispetto a tempi non sospetti, il tatuaggio è segno non verbale psicologicamente connotato: al di là della forma, del colore o della dimensione con cui si presenta, nella maggior parte dei casi cela aspetti legati all’identità del tatuato, fissa un momento importante della sua vita (bello o brutto che sia) e comunica significati trasversali a culture con le quali l’individuo è entrato in contatto.

Contrassegnare il proprio corpo con incisioni irreversibili (meno, oggi, grazie alla chirurgia laser) soddisfa quel bisogno impellente che l’essere umano ha di comunicare con il prossimo esprimendo se stesso e la propria unicità. Più indietro nel tempo, il tatuaggio era parte di riti collettivi o assumeva significati più specifici rispetto alla cultura d’appartenenza.
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Tatuaggi terapeutici

Nel 1991 una coppia di escursionisti tedeschi rinvenne sulle Alpi Venoste, al confine tra Italia e Austria, il corpo del più vegliardo dei tatuati: Otzi, 5300 anni, professione cacciatore. Sul corpo della mummia sono stati scoperti ben 61 piccoli tatuaggi che consistono in linee, crocette e piccoli punti ricavati per mezzo di incisioni sulla pelle poi ricoperte da carbone polverizzato, usato per lenire le ferite cicatrizzate ma soprattutto per colorare di nero l’epidermide. Esami radiologici hanno rivelato che Otzi soffriva di artrosi: i tatuaggi si trovano proprio in corrispondenza delle degenerazioni ossee da cui l’uomo era affetto. Si pensa dunque che questi tatuaggi possano aver avuto per Otzi una qualche funzione religiosa o curativa, e che siano forse da considerare come prova più antica della pratica dell’agopuntura.

Interessante è il caso della principessa Ukok, mummia rinvenuta ancora negli anni ’90 ma questa volta al confine tra Russia e Cina, in Asia centrale. Il corpo conservato dal permafrost esibisce sulla zona del petto il tatuaggio di un grosso animale simile a un cervo. Gli studi effettuati sulla principessa hanno svelato che Ukok era affetta sin dall’adolescenza da ostiomielite (un’infezione che colpisce le ossa) e che la donna soffriva inoltre di un cancro al seno in processo di metastasi. Secondo alcuni studiosi, Ukok sarebbe stata tatuata in corrispondenza del petto per iniettare sotto pelle sostanze vegetali che potevano alleviare i dolori cronici di cui la donna soffriva. Non a caso accanto al corpo di Ukok è stato ritrovato un contenitore con della canapa, pianta usata proprio a scopo terapeutico.

Antico egitto

Tantissime pitture risalenti all’antico Egitto mostrano donne tatuate che portano sulla pelle precisi schemi di linee e forme parallele: sacerdotesse, danzatrici e principesse dovevano ornare in questo modo il proprio corpo secondo il costume sociale. Il significato di questi tatuaggi è ancora oggi un mistero, ma tantissime ipotesi sono state avanzate circa altri simboli egizi, alcuni dei quali sono oggi tra i più tatuati. Pensate all’occhio di Ra, primo re d’Egitto venerato come dio sole e creatore dell’universo. Questo simbolo di regalità e potere veniva tatuato come forma di protezione dalle energie negative principalmente su nuca, spalle e schiena (l’occhio infatti doveva “guardava le spalle” di colui che lo portava).

Roma antica

Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio vi è anche quella romana. Per molto tempo, però, i tatuaggi furono vietati perché letti come deturpamento della purezza del corpo. Erano inizialmente diffusi sotto forma di “punzonature” a danno degli gli schiavi, marchiati a fuoco con le iniziali del proprio padrone. I tatuaggi venivano inoltre impiegati per “segnare”i criminali: chi rubava, ad esempio, era marchiato sempre a fuoco, sulla fronte, perché tutti fossero a conoscenza del reato commesso dall’individuo dal quale, dunque, bisognava restare in guardia. Le cose cambiarono quando i soldati romani entrarono in contatto con britannici e traci, popolazioni che consideravano i tatuaggi segni distintivi d’onore. I militi romani iniziarono dunque a tatuarsi le iniziali dell’imperatore in carica, ma la pratica restò ancora per molto tempo malvista dalle autorità, fedeli al mos maiorum.

Tatuaggi cristiani

Con l’avvento della religione cristiana e prima delle persecuzioni romane condotte a danno dei fedeli in minoranza, gli osservanti cominciarono a tatuare sulla propria fronte il simbolo della croce di Gerusalemme come ostentazione di fede. La stessa croce fu poi marchiata a fuoco sulla fronte dei martiri cristiani, vittime dell’intolleranza imperiale.

Quando la religione cristiana divenne dapprima lecita e, poi, religione di Stato, papa Adriano si vide costretto a proibire formalmente con una bolla papale datata 787 d.C la pratica diffusa tra i fedeli; successive e analoghe comunicazioni ufficiali ribadirono la posizione della Chiesa riguardo ai fatti. Più avanti anche l’imperatore Costantino vietò per legge i tatuaggi cristiani perché letti come violazione dei corpi che Dio aveva creato a propria immagine e somiglianza.

I frati marchiatori

Durante il Medioevo molti pellegrini cristiani decisero di ignorare le indicazioni della Chiesa e presero a tatuarsi i simboli dei luoghi sacri visitati. I frati del santuario di Loreto, nelle Marche, divennero così celebri tatuatori: su richiesta, incidevano su polsi e piedi dei fedeli che lo desideravano simboli del culto cristiano. Molto gettonate erano le stigmate, emblema della passione di Cristo.

E’ curioso osservare come l‘ebraismo abbia sempre categoricamente proibito i tatuaggi e come tale divieto sia sempre stato rispettato dagli osservanti. Nell’Islam e nella religione induista sono invece stati tollerati e consentiti solo tatuaggi temporanei all’hennè : in particolare, mani e piedi delle donne vengono ancora oggi ornati con motivi floreali durante la notte che precede le loro nozze.

Tatuaggi d’amore

I frati marchiatori tatuavano anche le future spose come forma di augurio e di consacrazione del vincolo matrimoniale. Non era raro, dunque, che le donne nascondessero sotto le vesti cuori trafitti o frasi d’amore. Le vedove poi potevano decidere di tatuarsi teschi stilizzati, femori incrociati o la ricercatissima frase “memento mori” in ricordo del defunto. Alcune donne sceglievano simboli marinareschi perché erano proprio gli uomini di mare a difendere le coste, permettendo matrimoni felici e vite serene.

Le esplorazioni oceaniche

Durante il XVIII secolo i marinai entrarono in contatto con popolazioni lontane presso cui i tatuaggi avevano enorme valenza culturale. Le ragazze tahitiane venivano per esempio tatuate sulle natiche con inchiostro nero quando raggiungevano la maturità sessuale; in Borneo gli indigeni imprimevano un occhio sul palmo come guida per l’al di là. E ancora, i samoani sottoponevano il proprio corpo a una prova di coraggio e resistenza estrema: per cinque lunghi giorni si facevano tatuare da testa a piedi per dimostrare la propria forza interiore. Al superamento della prova si era celebrati con una grande festa. I guerrieri maori poi raccontavano la propria storia per mezzo del moko, tatuaggio facciale. Le donne legate sentimentalmente ai guerrieri maori esibivano di conseguenza tatuaggi sul mento.

Nel 1771 James Cook, esploratore inglese, coniò la parola “tatoo” che deriva dal samoano “tatau” (incidere, decorare) germinato come onomatopeica dal ticchettio delle bacchette affilate usate dagli indigeni per fissare segni indelebili sulla pelle.

Giappone

In questi anni venne riscoperto anche il Giappone, terra in cui i tatuaggi hanno storia antica. Dagli studi condotti è emerso che i giapponesi, proprio come i romani, usavano marchiare i criminali e che però, a differenza degli occidentali, credevano anche che il tatuaggio potesse avere valenza magica. Inoltre, i cittadini di basso rango iniziarono a tatuarsi perché per lungo tempo le leggi del Paese proibirono loro di vestire kimoni decorati: come escamotage in segno di rivolta, molti giapponesi celavano sotto le vesti elaborati disegni che arrivavano, però, solo fino a gomiti, collo e ginocchia. Nel 1870 le autorità del Paese proibirono categoricamente alla popolazione di tatuarsi. Fu allora che la mafia giapponese, la yakuza, scelse proprio il tatuaggio come emblema di massima sovversione al sistema.

Tatuaggi e delinquenti

Nel 1876 l’antropologo Cesare Lombroso gettò ombre scure sui tatuaggi, contribuendo a diffondere l’idea che chi li portava fosse necessariamente da considerare un poco di buono. Nell’opera “L’uomo delinquente” Lombroso avanzò la teoria secondo cui l’atto di tatuarsi corrisponde a degenerazione morale: lo studioso raccolse numerose descrizioni di disegni appartenenti perlopiù a criminali e disertori, illustrando per ciascun segno la relativa tipologia di delinquente. Il saggio di Lombroso è oggi, a suo modo, un importante documento che affresca usanze del tempo in ambito tatoo.

Aristocratici tatuati

Tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900 la cultura del tatuaggio cominciò pian piano a diffondersi tra le masse grazie anche alla moda lanciata da illustri aristocratici di fama mondiale. Winston Churchill, elemento di spicco del panorama britannico, sfoggiava ad esempio un’ ancora sull’avambraccio destro. Vizio di famiglia? Sua madre aveva un serpente tatuato sul polso! Lo zar di Russia Nicola II si fece tatuare invece un enorme dragone sul braccio in occasione di un viaggio in Giappone.

La diffusione del tatuaggio fu possibile grazie a Samuel O’ Reilly che nel 1891 inventò la macchinetta elettrica usata ancora oggi per introdurre pigmenti nel derma, strato cutaneo posto sotto l’epidermide. La geniale trovata fu soprattutto una valida alternativa alla scarificazione, una fra le più antiche tecniche tatoo. Ancora viva in Africa e in altre parti del mondo, la scarificazione consiste nel creare solchi profondi nella cute e nel rallentare il processo di guarigione per creare cicatrici molto visibili e in rilievo.

Il tatuaggio prese piede in Occidente soprattutto in America: marinai, veterani, carcerati e malavitosi diffusero tale cultura tra la gente. Negli anni 60,’70 e ’80 del ‘900 il tatuaggio divenne nuovamente emblema di ribellione tra giovani hippies, punk e bikers. Gradualmente sdoganato, è oggi forma d’arte universalmente diffusa e, tuttavia, ancora tanto chiacchierata.

Chiara Maraviglia

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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