Pittura

Artemisia Gentileschi: la prima pittrice italiana ammessa in un’Accademia

Siamo a cavallo tra Cinquecento e Seicento: in un panorama artistico prettamente maschile, Artemisia Gentileschi diventa una grande pittrice. Non era quindi scontato, per una donna, né emergere né poter esprimere liberamente la propria arte, senza incontrare ostacoli o remore dettate dal genere. Ed è così che al liceo durante le ore dedicate a Storia dell’Arte, dopo aver studiato solo e soltanto scultori e pittori, rimasi colpita da questa forte e inaspettata presenza femminile: poche pagine dedicatele, ma di grande impatto.

A. Gentileschi, “Autoritratto come allegoria della Pittura”, (1638-1639, olio su tela).

Un talento precoce e naturale

Nata a Roma nel 1593, Artemisia respira fin da piccola un’atmosfera pregna di arte perché il padre, Orazio Gentileschi, è un pittore che gode di un certo successo e che decide, notando la particolare e precoce predisposizione della figlia, di indirizzarla verso la sua professione. Inizialmente le assegna il compito di preparare i materiali pittori e poi, gradualmente, la coinvolge nella realizzazione di dipinti commissionati alla sua bottega. La collaborazione si trasforma presto in lavoro autonomo e la giovane inizia a dipingere, totalmente di sua mano, alcune opere. In quanto donna, non può studiare presso un’Accademia, così Orazio, affinché lei possa affinare le sue doti, la affida a un maestro esperto di prospettiva e suo caro amico, Agostino Tassi.

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Uno dei primi dipinti di Artemisia. “Madonna col Bambino” (1610-1611, olio su tela).

Combattere per un sogno

Inaspettatamente, Agostino si rivela essere un mostro: abusa della sua allieva ed è così che inizia il calvario. Si scatena un processo nel quale non viene creduta, ma lei non si arrende perché sa bene che c’è in gioco il suo futuro, il sogno di diventare pittrice. Durante la deposizione viene sottoposta alla cosiddetta Sibilla, una tortura progettata appositamente per gli artisti che consisteva nel fasciare i pollici con delle funi che venivano strette fino al sanguinamento: in questo modo, colpendoli proprio nelle mani, indispensabili per il loro lavoro, erano più inclini a confessare la verità. Ed è così che Artemisia, con estremo coraggio e forza d’animo, ottiene giustizia e Tassi viene condannato: tra il dover scontare cinque anni di reclusione e l’esilio perpetuo da Roma, egli sceglie quest’ultimo.

Il decollo artistico

Dopo il processo, la donna sposa un modesto pittore e si trasferisce con lui a Firenze per dimenticare il passato e ricominciare. Il suo stile è influenzato da Caravaggio, artista dominante del periodo, che stravolge i canoni classici attraverso un realismo drammatico: i soggetti emergono da un’atmosfera tetra, con forti contrasti tra luci e ombre. Artemisia predilige i temi alti, puntando su soggetti storici o sacri, enfatizzati proprio dalla tecnica del chiaroscuro. Spiccano ritratti, autoritratti allegorici, scene di vita quotidiana e, soprattutto, scene bibliche, anche cruente come emerge nel famosissimo dipinto “Giuditta che decapita Oloferne”.

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A. Gentileschi “Giuditta che decapita Oloferne” (1612-1613, olio su tela).

Ed è così che la carriera decolla. Il suo talento viene riconosciuto, le sono commissionati dipinti da personaggi di rilievo e riceve l’incredibile onore, mai concesso prima a una donna italiana, di essere ammessa presso l’Accademia delle Arti del Disegno, fondata nel 1563 da Cosimo I de’ Medici. La tenacia, il coraggio e la passione finalmente vengono ripagati e la sua fama si diffonde non solo in Italia, ma anche in Europa, soprattutto in Inghilterra grazie a re Carlo I Stuart. Nel 2017, a proposito, la National Gallery di Londra ha acquistato, da una collezione privata, un raro autoritratto della Gentileschi e nel 2020 le dedicherà una mostra con circa 35 dipinti.

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A. Gentileschi, “Autoritratto come Santa Caterina D’Alessandria” conservato presso la Nation Gallery di Londra (1615-1617, olio su tela).

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A presto,

Erika

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