
Il Decameron di Boccaccio e il Trionfo della Morte
1348. A Firenze impazza la peste nera. Tre ragazzi e sette ragazze decidono di fuggire e di trascorrere un breve periodo in campagna, lontano dal degrado dilagante. In loro non c’è solo la volontà di preservare la salute, ma anche quella di custodire l’importanza della moralità.
Il Decameron di Boccaccio, nella sua genialità, è stato spesso definito un “trattato sull’essere umano”, perché è di vita che si parla, in tutte le sue sfaccettature, anche le più crude. E se ne parla nelle novelle, grazie alle quali l’opera è ricordata, ma soprattutto nella cosiddetta cornice.
Disordine e disumanità in città
La voce narrante, testimone oculare dell’epidemia, racconta senza remore le conseguenze che essa ha prodotto sulle persone. In prima istanza vengono descritti gli effetti fisici con precisione quasi scientifica: è difficile sopravvivere. La narrazione, però, si concentra a lungo sugli aspetti psicologici e comportamentali che denotano l’insorgere di disordine e disumanità.

La disonestà diventa abitudine, il rispetto svanisce e l’odio divampa. I legami familiari si affievoliscono, le tradizioni vengono abbandonate e le regole non vengono rispettate.
“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era così fatto spavento questa tribolazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e lo zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito”.
La peste elimina la pietà: nemmeno i funerali vengono celebrati. Boccaccio ci dice che tra marzo e luglio di quel difficile anno morirono più di centomila fiorentini.
Ordine e umanità in campagna
È proprio in questo orribile quadro che nella bellissima chiesa di Santa Maria Novella dieci nobili giovani, su consiglio della più grande di loro, Pampinea, decidono di lasciare momentaneamente quelle mura. Si rifugiano così in ville di loro proprietà in campagna, per sfuggire al disfacimento etico della società di provenienza. Insieme vogliono ricostruirne una nuova, basata su ordine e umanità. Un modo di vivere che possiamo definire cortese, cioè all’insegna dell’onestà e del rispetto.

Le loro giornate sono perfettamente regolamentate: ogni giorno viene eletto un re che fissa le regole del vivere quotidiano. La società istituita, però, non è una monarchia ma una democrazia in quanto ogni giovane sarà sovrano, a turno. Il fulcro del tempo è trascorso raccontando delle novelle a tema libero o stabilito.
Il numero dieci governa l’opera sin dal titolo: nel libro sono contenute cento novelle raccontate in dieci giornate da dieci giovani. Il periodo del soggiorno però è più esteso e, tra spostamenti vari, dura circa quindici giorni. Alla fine i protagonisti rientrano in città, tenendo racchiuse e ben salde dentro loro le certezze acquisite dal vivere comune in armonia.
Il Trionfo della Morte: suggesioni iconografiche
Una delle più grandi studiose di Boccaccio, Lucia Battaglia Ricci, ha individuato una possibile fonte iconografica del Decameron. Presso il Campo Santo di Pisa è possibile ammirare ancora oggi un affresco dalle dimensioni monumentali: Il Trionfo della Morte (15 metri di larghezza per 6 metri di altezza). L’opera fu commissionata tra il 1336 e il 1341 a Buonamico Buffalmacco dai frati domenicani, insieme ad altri due affreschi “Giudizio infernale e Inferno” e “Tebaide”.

Tra i tre, il più emblematico è sicuramente il Trionfo, il quale si compone di numerose scene macabre che all’interno di un cimitero acquisiscono maggiore carica suggestiva. Ma l’episodio più interessante in questo momento è collocato a destra: una brigata di dieci giovani, tra uomini e donne, è intenta a dilettarsi mentre la morte incalza.

Il messaggio dei frati doveva essere chiaro: la morte incombe su una vita dedita all’edonismo e non incline all’attività e alla contemplazione religiosa. Emerge, dunque, la cultura della penitenza. Boccaccio rovescia questi valori: se nel dipinto la brigata sarà la prima a morire, nelle sue pagine essa sarà la prima a salvarsi. Perché? I nostri cari giovani hanno dei principi di moralità e di onestà che consentono di sopravvivere: neanche il terrore della morte li può distruggere.

Molte tematiche delle novelle sono crude o ritenute ‘volgari’: come i fanciulli rimangono saldi davanti alle difficoltà del reale originate dalla peste, così non si fanno influenzare da atti immaginari scaturiti dai racconti. Infatti, se l’uomo rimane fedele ai suoi valori, i quali devono essere colmi di rispetto e onestà, gli sarà consentito il quieto vivere nonostante le avversità e la sua umanità sarà salda anche nel dolore.
Grazie per aver letto l’articolo. Se amate il Decameron, vi consigliamo anche la storia di un giovane studioso che scoprì l’autografo di questo capolavoro, ma che dovette combattere per essere creduto agli occhi del mondo.
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5 commenti
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