“E ora ridateci la Gioconda!” La vera storia dietro al furto dell’opera
Chi non ha mai pronunciato questo simpatico slogan accusando i francesi di un furto del quale, in realtà, i vicini transalpini non si sono mai macchiati?
È ora di far luce su di un falso storico conclamato!
Il viaggio verso la Francia
Tra il 1502 e il 1503 Leonardo da Vinci si trovava a Firenze. Il mercante Francesco del Giocondo decise di commissionare all’artista il ritratto della moglie Lisa Gherardini per ostentare, com’era in uso al tempo, l’ascesa sociale della propria casata. Leonardo però, indefesso perfezionista, lavorò al dipinto per ben quattro anni portandolo con sé a Milano e continuando a ritoccarlo fino al 1513. Il ritratto così non fu mai consegnato ai coniugi committenti e, anzi, giunse in Francia quando Leonardo fu chiamato a lavorare presso la corte di re Francesco I.
In seguito alla morte dell’artista, la Monna Lisa entrò a far parte della collezione reale francese: passando da una dimora blasonata all’altra, approdò infine al Louvre senza però destare particolare interesse da parte di avventori e critici d’arte.
Napoleone se ne appropriò per un certo periodo di tempo e adornò con il quadro la camera da letto dell’amata Giuseppina. Dopo poco, la Gioconda tornò al Louvre e fu allora che artisti e scrittori iniziarono ad accorgersi della bella signora dai tratti enigmatici. La corrente del Romanticismo, ormai alle porte della Francia, reclutò a emblema della sensualità femminile l’opera di Leonardo da Vinci. Ma fu un altro evento, anni più tardi, ad accrescere a dismisura la fama della Gioconda.
Il furto
La notte tra il 21 e il 22 agosto 1911 un ladro si intrufolò nelle sale del Louvre a Parigi e rubò la Gioconda. Ad accorgersene fu il pittore francese Louis Béroud che, svegliatosi di buon ora e diretto al museo in un consueto lunedì mattina di chiusura al pubblico per ritrarre proprio la Monna Lisa, si rese conto che il quadro non c’era più. Davanti a lui, un muro spoglio.
La polizia brancolò per diverso tempo nel buio. Il brigadiere a capo delle indagini pensò in un primo momento che un fotografo, Braun, autorizzato a trasportare le opere nel proprio studio negli orari di chiusura del museo, avesse spostato il dipinto senza avvertire. Tuttavia, la Gioconda non si trovava nell’atelier di Braun: ebbe inizio una tormentata caccia al ladro.
Gli unici indizi a disposizione delle forze dell’ordine erano la cornice e il vetro che proteggevano Monna Lisa e che furono abbandonate dal rapinatore sul luogo del delitto. Si iniziò a interrogare il personale del Louvre e, tra i tanti sospettati, furono ascoltati anche il poeta francese Guillaume Apollinaire e il pittore spagnolo Pablo Picasso che avevano confessato pubblicamente l’intenzione di svuotare i musei per riempirli con le loro opere. La dichiarazione era tuttavia da interpretare come uno sfogo, una megalomania tipica di quegli artisti.
Non trovando colpevoli, la polizia ipotizzò addirittura un furto di Stato a opera dell’Impero tedesco, allora nemico della Francia perché attivo nel tentativo di colonizzare l’Africa.
Passarono due anni durante i quali sui giornali di tutto il mondo si parlò a lungo della vicenda.
Il ritrovamento
Nel 1913 la Gioconda fece capolino a Firenze.
Si scoprì che il ladro era un italiano, Vincenzo Perruggia, ex impiegato del Louvre, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia e che bisognasse riportarlo a casa. L’uomo tenne il quadro per 28 mesi sotto il letto della sua pensione parigina e poi fece ritorno in Italia, dove cercò di rivenderlo a un antiquario fiorentino, Alfredo Geri. Questo ricevette una strana lettera da un tale, “Leonardo V”, che proponeva l’acquisto dell’opera:
“Ne saremo molto grati se per opera vostra o di qualche vostro collega, questo tesoro d’arte ritornasse in patria e specialmente a Firenze dove Monna Lisa ebbe i suoi natali, e che saressimo in ispecial modo lieti se un giorno futuro e forse non lontano fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e per sempre. Sarebbe una bella rivincita al primo impero francese, che, scalando in Italia, fece man bassa su una grande quantità di opere d’arte per crearsi al Louvre un grande museo”: questo era quanto il fantomatico “Leonardo V.”
Geri denunciò il fatto alle autorità italiane e, rispondendo alla lettera, organizzò un falso appuntamento con il ladro presso il negozio di antiquariato. Perruggia venne così catturato dalle forze dell’ordine nostrane e nonostante i cattivi rapporti con la Francia, fu concesso di esporre la Gioconda a Firenze e a Roma a mo’ di ricompensa.
Il quadro venne infine riportato a casa, in Francia; Vincenzo Perruggia, dichiarato “mentalmente minorato”, se la cavò con un anno e quindici giorni di prigione.
Questo episodio segna la storia dell’arte perché rappresenta il primo furto avvenuto in un museo. Il fatto contribuì alla nascita del mito della Gioconda, fino a quel momento conosciuta solo dagli esperti e dagli appassionati d’arte.
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